Buongiorno a tutti,

ci stiamo avvicinando alla ricorrenza di un mese dalla data di inizio del conflitto russo-ucraino. Pare che le cose non stiano andando bene né per i russi né, e c’era da attenderselo, per gli ucraini.  Temo, anche, che la fine del conflitto non sia a portata di mano e che possa durare ancora un po’ (speriamo duri solamente “ancora un po’”).

Cercare di comprendere le ragioni del conflitto è, per una persona comune, difficilissimo se non impossibile.  Allora ho provato a farmi qualche domanda, visto che risposte non ne ho. La prima, fra tutte, è stata: “ma questo conflitto, indipendentemente dall’esito, avrà una qualche influenza su ciascuno di noi? E se sì, quale influenza avrà?”.

Per trovare qualche ipotesi di risposta ho provato ad osservare le persone attorno a me che forniscono uno spaccato rappresentativo della società.

La prima area di osservazione attiene alla vita comune; mi muovo nella mia città con serenità e disinvoltura; non vedo alcun segno che lasci presagire la presenza di una guerra né, tantomeno i suoi, effetti. L’aumento del prezzo di gasolio e benzina abbiamo compreso essere indipendenti (almeno per il momento) dal conflitto in corso.

La seconda area di osservazione attiene, invece, agli assembramenti in strada, piazza, bar, mercato; in queste occasioni, più o meno tutti, assumono un’aria di circostanza e il fattore “guerra” diventa argomento comune di conversazione. Così come durante la pandemia avevamo argomentazioni a supporto di una o dell’altra tesi, oggi abbiamo argomentazioni pro o contro questo o quello. Tutti pronti a schierarsi. Perché? Chi ce l’ha chiesto? Cosa nasconde questa urgenza?

Terza area di osservazione riguarda le trasmissioni televisive che, salvo eccezioni (rarissime) hanno raggiunto il livello più basso di approfondimento e (dis) informazione mai raggiunto. Oramai, seguendo la tradizione nata con la pandemia anche l’analisi del conflitto si è polarizzata in pro o contro l’armamento dell’Ucraina, pro o contro no-fly-zone. Anche in questo caso si è costretti a schierarsi.  E capitato persino ad un uomo della cultura di Marco Minniti alcuni giorni fa, in un intervento pubblico; ha ritenuto di affermare che difronte a questo conflitto, dove c’è un aggressore ed un aggredito (chiedo a me stesso prima ancora che a Minniti, se esistono conflitti dove non ci sia un aggressore ed un aggredito?) non si può essere equidistanti!

Se persino un uomo come Minniti ritiene indispensabile una simile affermazione, ritiene indispensabile schierarsi, allora a nulla serve analizzare le conseguenze delle proprie azioni: non dobbiamo essere equidistanti in questo conflitto; l’imperativo è: muoia Sansone con tutti i filistei!

I salotti televisivi sono diventati occasione per passerelle di personaggi la cui competenza geo-politica è, a tratti, imbarazzante.

Da oltre venti giorni sono incollato davanti al televisore e dopo ogni trasmissione (quasi tutte) mi trovo a farmi una domanda: “ma ora so qualcosa in più sul conflitto in corso?” La risposta è sempre la stessa: NO.  Ora so come si stanno muovendo le truppe, la resistenza, i cittadini, quanti sono i morti, i feriti, i profughi, il numero delle abitazioni distrutte. Ma non so le ragioni del conflitto! Curioso.  Se so tutte queste cose è evidente che qualcuno vuole che io mi schieri. Ma se non so le ragioni del conflitto, allora qualcuno vuole che io “non prenda una posizione”.

Solamente attraverso i quotidiani riesco ad avere le informazioni che mi sembrano utili per una maggiore comprensione del momento. Ma quei giornalisti, bravi, preparati, fortemente a rischio, non entrano nei salotti televisivi.  Le loro opinioni, inchieste, reportage, non entrano nel dibattito comune.  Peccato.  Ma  il tema è un altro:  di tutto ciò che sta accadendo quale sarà l’effetto che avrà su di noi?

Temo sarà un effetto fortemente negativo anche se non immediato. Ne immediato ne facilmente individuabile. Così come è avvenuto in occasione della pandemia,  avverrà una polarizzazione tra quelli a favore e quelli contrari ad un possibile intervento NATO; pro o contro una NO-FLYZONE sull’Ucraina; pro o contro un possibile inizio di terza guerra mondiale.

Ad una prima e sommaria analisi, tutte le posizioni espresse sembrano appoggiare su ragionamenti concreti e quasi logici: l’Ucraina è stata invasa e gli ucraini hanno diritto all’autodeterminazione come ogni popolo; inoltre, stanno combattendo anche per la nostra libertà.  Come fai ad essere contrario ad una simile posizione? Eppure, a pensarci bene, diventa solamente un sofisma, come ci ha splendidamente fatto notare Roberta De Monticelli (filosofa) nel suo editoriale pubblicato stamane dal quotidiano DOMANI:

“prendere posizione significa schierarsi”.  Continua De Monticelli: “Niente di più falso. Schierarsi è prendere partito, mettersi dalla parte degli uni o degli altri. Prendere posizione, invece, è rispondere pur fallibilmente a un’esigenza di giustezza, cioè in ultima analisi di verità”.

DEVI schierarti, costretto da un pensiero comune indotto: se non lo fai sei un vile! Un menefreghista! Uno che pensa solamente al suo piccolo! Devi assolutamente far capire da che parte stai.  Fai vedere che sei ben integrato nella società; che ci tieni ai valori della libertà. Fai come me, come tutti: schierati!

Solo così potrai stare tranquillo. E allora, se sono costretto a schierarmi, anche se non ci credo,  anche se lo faccio senza sapere perché lo devo fare, quale effetto produrrà su di me? Un effetto non immediato ma terribile: la rimozione del dolore;  Rimozione che a sua volta produrrà effetti devastanti sulla tua capacità cognitiva prima ancora che sulle emozioni.  Qualcuno ha preso la decisione per me!  E io ho fatto come hanno fatto (quasi) tutti.

Nulla di grave; la quasi totalità delle persone si sottopone a questa manipolazione quotidianamente.  Oggi, sulla guerra Russo-Ucraina ma, non abbiate timore, lo fanno anche se inconsapevolmente, tutti i giorni e per qualunque problema vengano chiamate ad affrontare; di lavoro, familiare e, tra tutti il peggiore, persino nei rapporti affettivi!

(Io) Preferisco allora prendere una posizione. Prendere una posizione per provare a “ragionare” senza avere la certezza di riuscire in questa impresa. Prendere una posizione con la convinzione che non voglio farmi asfaltare dal pensiero comune indotto da una banda di “manigoldi” dell’informazione, pronti a schierarsi su qualunque cosa: dalla pandemia alla guerra, dalla mafia all’emigrazione, dall’economia alle RSA. Basta!

Riprendiamoci il diritto della ragione! Prendiamo una posizione: meglio sbagliare che essere complici. Proviamo a salvare la nostra anima se non possiamo salvare gli ucraini. Se lo faremo aiuteremo anche i governanti a prendere una posizione invece che schierarsi.

Un saluto.

Zavoratti