Buongiorno,

oggi ho avuto l’opportunità di leggere un articolo “rivelatore” scritto da Giovanni Gobber (dal novembre 2014 all’ottobre 2018 Preside della Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore) e pubblicato sul quotidiano Domani.

Provo a farne una breve sintesi con la speranza di non alterare il suo pensiero che condivido e sottoscrivo.

Il linguaggio è il tramite per l’esperienza dell’alterità. E’ il veicolo che ci permette di incontrare l’altro. Il linguaggio è un “dono” e come tale una “ricchezza” che una volta ricevuto, si moltiplica in altri doni e altre ricchezze all’infinito.

La capacità dell’uomo di parlare produce risultati che servono a “guidare, delimitare, condizionare le attività umane”. In quanti se ne rendono conto?  Gobber utilizza un sostantivo azzeccatissimo “utensili” per definire le parole. Quando si parla si utilizzano “utensili” che possono essere “cambiati, sviluppati, arricchiti oppure impoveriti”.  Gobber ci mette anche sull’avviso di possibili conseguenze pericolose dell’uso del linguaggio.

Sappiamo tutti che il prestigio sociale viene alimentato e produce “imitazione“.  E ciò vale anche nella lingua. Quando noi parliamo, in realtà, attiviamo un mondo condiviso da altri; il nostro contributo è, molto spesso, scarso e si limita a ripetere formule utilizzate, appunto, da altri; altri che godono di quel prestigio sociale dal quale ci siamo fatti affascinare.

Gobber prosegue questo illuminante articolo con esempi che riguardano politici e uomini pubblici avvertendoci di stare sempre all’erta nei confronti di chi usa il linguaggio per esaltare o negare idee e avversari.

Ma la sua analisi può essere utile anche a ciascuno di noi.  Il linguaggio può servire per “nascondere elementi scomodi”. Con quali conseguenze?  Nascondere equivale a mentire e mentire è rischioso. Se, e quando si viene scoperti, si spezza la fiducia che faticosamente si era creata sia tra l’uomo pubblico e la sua platea sia tra due persone comuni. Allora forse è meglio tacere?  Peggio!  Anche il tacere equivale a mentire, con l’aggravante, a differenza della “sola” menzogna, che si rischia di passare anche per “incapaci di vedere la realtà”.

L’abuso del linguaggio può portare a conseguenze impensabili.  Su questo punto Gobber cita Edward Louis Bernays (nipote di Freud) già nel 1928 (sic!) e importante pubblicitario che ebbe a scrivere:

la manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni organizzate delle masse è un elemento importante nella società democratica. Coloro che manipolano questo meccanismo invisibile della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere dominante del nostro paese.”

In quanti subiscono questa “manipolazione” senza nemmeno rendersene conto? In quanti si abbeverano all’idea offerta alla massa attraverso questo “meccanismo invisibile”?

L’articolo di Gobber continua con analisi ed esempi interessantissimi e con l’annuncio di un antidoto: la “freedom rule” “la libertà di mettere in discussione ogni punto di vista anche quelli più radicati nel vasto pubblico, anche quelli diffusi dalle fonti ritenute universamente autorevoli. La regola della libertà è alla base dell’argomentazione come attività verbale, sociale e razionale orientata a convincere un individuo capace di far uso della ragione. Nell’agone argomentativo, reggono le ipotesi più solide e ogni mossa ragionevole è accolta e tenuta in conto. Non così, sembra, nel dibattito che oggi è ridotto, per lo più, a scambio di opinioni, spesso prive di fondatezza, ma assai forti perchè sono legate alle nostre abitudini o alle nostre fissazioni”.

Io concluderei con un grazie a Giovanni Gobber.

Un saluto

Zavoratti