Buongiorno,
da diverso tempo si è insinuata, dentro di me, l’esigenza (ma direi, un vero e proprio bisogno) di provare a riflettere sul tempo che viviamo. La definizione di “tempo” nella sua accezione più ampia e profonda. Che tempi sono quelli che stiamo vivendo? E’ assai difficile fare una analisi, ancor più una analisi corretta; risulta difficile perché scivolare nel vittimismo o nel patetico è praticamente un rischio quasi impossibile da evitare. E la certezza di sbagliare è dietro l’angolo.
Eppure sento il bisogno di proporre qualche riflessione sui tempi attuali che sembrano diventare ogni giorno meno intellegibili. Il dubbio però è, … partendo da dove? Capisco che, per evitare almeno il rischio di perdersi, conviene assumere qualche elemento di certezza. Propongo, pertanto, di individuare nel momento dell’esplosione della pandemia da coronavirus (COVID-19) ovvero la patologia infettiva causata dal virus SARS-CoV-2, il momento in cui i Mondo ha iniziato il suo cambiamento.
Si è trattato, fuori di dubbio, di un periodo che ha lasciato tracce indelebili dentro ciascuno di noi; e forse, gli effetti della pandemia, non quelli biologici ma quelli piscologici, non si sono ancora manifestati del tutto. E stato un lungo periodo (almeno due anni) in cui ognuno di noi ha dovuto (ri)disegnare una nuova esistenza; un nuovo modo di vivere e di viversi. Ci siamo riusciti? Ancora non lo sappiamo. Quello che però (io) so, è che ciascuno di noi si è aggrappato all’illusione che tutto sarebbe durato relativamente poco e che, terminata l’emergenza, avremo ripreso la nostra vita, bella o brutta che fosse.
Attendevamo con ansia l’annuncio della fine del black out pandemico; annuncio che non è mai pervenuto; in Cina, ancora oggi, nonostante le proteste della popolazione che hanno costretto le autorità ad un allentamento delle misure di sicurezza, siamo in piena emergenza COVID.
Quell’annuncio, mai arrivato, non sarebbe comunque servito a nulla; la nostra attenzione (si scrive attenzione ma si legge “paura”) è stata dirottata su un altro momento di crisi che non avremmo mai pensato di dover vivere: la guerra in Ucraina; quella guerra che, almeno secondo le parole di Antonio Guterres Segretario Generale delle Nazioni Unite, è ad un passo dal trasformarsi in guerra nucleare.
Sarebbe durata poche settimane: questo è stato l’annuncio di Putin. Fra pochi giorni ricorrerà un anno dal suo inizio! Ci sono migliaia di morti da entrambi gli schieramenti. Nessuno, ancora, pensa di farla terminare.
Siamo veramente convinti che la guerra non avrà alcuna conseguenza su di noi? Ingenui. Il timore di un allargamento del conflitto se non addirittura un suo sviluppo nucleare sta producendo danni enormi in ogni fascia di età e ceto sociale.
Pandemia prima e guerra poi. Ma tutto questo avrà pure una fine?! No. Almeno non per ora. La guerra ha prodotto una crisi energetica senza precedenti. La duplicazione (ma in molti casi triplicazione o quadruplicazione) dei costi per il riscaldamento di famiglie ed imprese sta falcidiando tanto le une quanto le altre. La paura di non farcela si è impadronita di molti. Con quali effetti? Chi lo sa?
Ma anche l’inverno prima o poi ci lascerà ed arriveranno la primavera e l’estate. Le cose andranno meglio? Abbiamo una inflazione a due cifre e questo fenomeno non avrà termine in breve tempo.
Chi sarà in grado di sopportare le conseguenze dalla pandemia, della guerra, della crisi energetica prima e dell’inflazione poi? E attraverso quali formule?
Dalla stampa quotidiana rilevo una dichiarazione di Gianni Canova rettore alla IULM intervistato all’indomani del suicidio di una studentessa: “sappiamo che le richieste di aiuto ai nostri sportelli di counseling psicologico sono negli ultimi mesi più che raddoppiate …”.
Dal sito della IULM si può leggere anche: “Un Ateneo non è solo un luogo di divulgazione, ma anche di creazione di nuove conoscenze. Per questo l’Università IULM fa dell’attività di ricerca lo strumento principe attraverso cui crescere per affrontare le sfide del futuro.” Ma se nemmeno un ateneo può essere un antidoto alla depressione creata da questi tempi, figuriamoci come potrà sopravvivere chi non sa quali strumenti utilizzare per affrontare le sfide del momento?
Per ora sono costretto a fermarmi qui. Temo che molti non si riconosceranno in queste riflessioni; credo di comprenderne le ragioni. La fuga dal problema è uno strumento comprensibile.
Un saluto.
Zavoratti
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