Buongiorno,

il saggista e scrittore Raffaele Alberto Ventura (da sempre studia i consumi delle classi sociali) qualche giorno fa ha lanciato, dalle pagine del quotidiano dove scrive (Domani del 7 settembre), un grido d’allarme: fine dell’abbondanza e inizio dell’era della delusione.

Temo che, per svariate ragioni, il monito non potrà essere raccolto né dai politici, impegnati in una campagna elettorale tra le peggiori di sempre e, per il carattere che riveste, simile a quella del 1946, ma nemmeno dai commentatori politici, interessati più ad intercettare eventuali discrasie tra alleati o insulti tra politici, invece che sollecitare il confronto sui reali problemi contingenti e quelli di più lungo respiro che dovremo affrontare fra qualche mese.

Neppure gli intellettuali, che per natura dovrebbero avere uno “sguardo lungo” ed elaborare, attraverso l’analisi dei fatti ed eventi storici, un progetto di futuro o, almeno, avvisarci nel caso commettessimo errori di valutazione; si tratta di intellettuali che hanno perso completamente la loro forza propulsiva perché fino ad oggi si sono, il più delle volte, compiaciuti della loro “cultura” ma non sono stati in grado di osservare le trasformazioni del Mondo come invece avrebbero dovuto.

Rimangono i giovani pensatori, ai quali appartiene anche Raffaele Alberto Ventura, la cui intelligenza critica e capacità di analisi dei fenomeni sociali, risultano essere una cifra distintiva che appare sempre nei suoi articoli. Una nuova figura di intellettuale; fortunatamente, come lui oggi possiamo contare su una schiera notevole di altri pensatori!  Mi auguro non venga penalizzato dall’età: 38 anni!

Ventura ci mette in guardia: partendo dal monito di Macron “il periodo dell’abbondanza è terminato”; si chiede e ci chiede: “ma siamo in grado di comprendere che abbiamo vissuto in un periodo di abbondanza?” Dice Ventura: “l’abbondanza è un concetto molto relativo, agganciato ad aspettative socialmente costruite”, ma soprattutto “La differenza tra abbondanza e scarsità non la fa la realtà bensì l’estensione dei nostri bisogni. E chi ha più bisogni ‘seppure artificiali’ dei membri di una società complessa?”.

Postuliamo di prendere atto della fine dell’abbondanza e che ci aspetta un “tempo” non sappiamo se, e quanto lungo, di ristrettezze economiche ancora tutte da individuare. E non saranno ristrettezze solamente economiche. Ma come reagiremo? Con quali strumenti? Quali potranno essere le conseguenze, se non l’accentuazione (ulteriore) delle disuguaglianze?  E dove porterà l’aumento delle disuguaglianze se non ad un inasprimento della conflittualità?  Come potrà essere gestito il nuovo conflitto?  Basterà un controllo politico o si dovranno mettere in campo forze diverse? E quali?

Raffaele Alberto Ventura fornisce anche un contributo all’analisi del fenomeno: aggiunge alcune avvertenze sulle quali non possiamo assolutamente fare finta di nulla. Una di queste, dice di stare attenti perché l’abbondanza materiale non coincide con il benessere sociale ed interiore. Anzi, ci ricorda che più la società produce “bisogni” e più aumentano “nevrosi e devianze”.

Questo aumento di nevrosi e devianze potrebbero essere sintomi del cambiamento? Penso proprio di si! Nevrosi e devianze dalle quali sarà estremamente difficile rimanere indenni. I casi sulla disfunzione della nostra società, sono innumerevoli. Chi possiede uno smartphone viene avvisato più o meno ogni ora di eventi e fatti che fanno rabbrividire; ma bastano 5 minuti e ce ne siamo già dimenticati … e attendiamo il prossimo evento quasi certamente peggiore del precedente.

Ma torniamo all’abbondanza.  Abbondanza che non sappiamo riconoscere? Perché? Ventura ci ricorda che non la riconosciamo perché la diamo per scontata ma, soprattutto, perché non vogliamo sapere da dove arriva: “l’occultamento era necessario per non guastare l’illusione di una superiorità morale dell’occidente”.

Beh, penso che dovremo stare attenti. L’aumento delle disuguaglianze non ha mai portato nulla di buono. Basterebbe ricordare la crisi energetica del 1973, che fu causata dalla decisione degli Stati arabi, produttori di petrolio, di tagliare del 25% le esportazioni del greggio verso i paesi occidentali; in quel periodo ha avuto inizio un ventennio di conflitti sfociali che in molti ricordano: stragi e terrorismo.

Forse è il caso almeno di parlarne, non credete?  Ma non mi pare che il tema appartenga al dibattito politico di queste settimane.

Un saluto.

Zavoratti