Buongiorno a tutti,

continuo a chiedermi se, in questo particolare momento della storia della nostra civiltà indispensabile il contributo di tutti per superare la prova che la pandemia ci chiama ad affrontare? O se, invece, non sia sufficiente se non addirittura più utile, rimanere immobili ed aspettare che la bufera passi?

E’ evidente che io non ho la risposta ad una simile domanda. Peraltro, se anche provassi a formularne una, ad un quesito così complesso, mi ritroverei nella folta schiera di quei soggetti ai quali Confucio ha dedicato una delle sue massime più azzeccate: “chi conosce tutte le risposte non si è fatto tutte le domande”.

Non mi rimane, quindi, che provare a guardarmi intorno; analizzare il passato per verificare se è possibile rintracciare qualche analogia col presente; spulciare tra le tracce di veri pensatori per “rubare” qualche utile indicazione. Ascoltare i moniti e gli approfondimenti degli intellettuali veri o presunti: giornalisti compresi, nelle dodici ore quotidiane di pseudo-approfondimenti televisivi. Giornalisti, riparati dall’ombrello dell’iscrizione ad un Ordine il cui senso sfugge ai più, si sentono autorizzati ad affrontare e esprimere qualunque considerazione su qualunque tema senza averne, nella stragrande maggioranza dei casi, la minima preparazione.

Come muoversi in questa giungla? Come non perdere il senno? Come districarsi tra intellettuali veri o presunti, tra giornalisti improvvisati ed improvvisatori, millantatori e parvenu?

Ho voluto sottopormi ad una seduta di “ozono terapia”: quella terapia che aiuta l’ossigenazione del sangue. Ne sentivo il bisogno.  Questo fine settimana mi sono riletto alcune delle lezioni di Umberto Eco e che il quotidiano La Repubblica ha avuto il merito di ripubblicare tempo fa.  Una di esse aveva per titolo: IL PRIMO DOVERE DEGLI INTELLETTUALI. STARE ZITTI QUANDO NON SERVONO A NULLA.  Con un titolo simile, Vi sareste fatti sfuggire l’occasione? Io no! Riporto di seguito ampi stralci:

“… Uno degli atteggiamenti più patetici in questo secolo (credo che la colpa sia di Julien Benda) (ndr: Parigi, 26 dicembre 1867 – Parigi, 7 giugno 1956 è stato un filosofo e scrittore francese) è di lamentare per qualsiasi crisi sociale o politica il tradimento degli intellettuali, oppure invocarli per risolvere tutti i problemi difficili. Una volta Jacques Attali (ndr:  Algeri 1° novembre 1943 è un economista, saggista e banchiere francese) aveva convocato un congresso di dimensioni mostruose a Parigi sul tema “gli intellettuali e le crisi del nostro secolo” e il mio intervento si era limitato a poche parole: “Badate che gli intellettuali, per mestiere, le crisi le creano, ma non le risolvono”. Creare le crisi non è una cosa cattiva. Scienziati, filosofi, scrittori parlano per dire: “Credevate che le cose stessero così, e invece vi state crogiolando in un’illusione perché stanno in un modo tremendamente più complesso”. Questo hanno fatto gli intellettuali che abbiamo studiato a scuola, si chiamassero Parmenide, Einstein, Kant, Darwin, Machiavelli o Joyce.

Se li si prende per quel che sanno dire (quando ci riescono) gli intellettuali sono utili alla società, ma solo nei tempi lunghi. Nei tempi brevi possono essere solo professionisti della parola e della ricerca, che possono amministrare una scuola, fare l’ufficio stampa di un partito o di una azienda, suonare il piffero alla rivoluzione, ma non svolgono la loro specifica funzione. Dire che essi lavorano nei tempi lunghi significa che svolgono la loro funzione prima e dopo, mai durante gli eventi.

… Quando la casa brucia, l’intellettuale può solo cercare di comportarsi da persona normale e di buon senso, come tutti, ma se ritiene di avere una missione specifica si illude, e chi lo invoca è un isterico che ha dimenticato il numero telefonico dei pompieri.

Un sociologo avveduto poteva avvertire trent’anni fa (ndr: lezione di Eco del 1997) che lo sviluppo del benessere, accompagnato dal ritardato ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, avrebbe prodotto fenomeni di smarrimento giovanile (droga o sassi dal cavalcavia) e in al senso avrebbe potuto suggerire come prevenire il fenomeno. Ma nel momento in cui i ragazzi gettano i sassi dal cavalcavia l’unica cosa che si può chiedere all’intellettuale è di non tirarli anche lui. Se lancia un appello contro i sassi dal cavalcavia non si comporta da intellettuale ma semplicemente approfitta di una pubblica disgrazia per fare una bella figura, oltretutto lucrando il compenso per l’articolo. A quel punto la salvezza non viene dall’intellettuale ma dalle pattuglie di polizia, o dai legislatori.

C’è solo un caso in cui l’intellettuale ha una funzione rispetto a eventi in corso. Quando sta accadendo qualcosa di grave e nessuno se ne accorge. Solo in quei casi un suo appello può servire come allarme. E’ vero che in tal caso svolgerebbe azione intellettuale chiunque lanciasse l’appello, anche se facesse l’idraulico, però è possibile che la pubblica notorietà di qualcuno possa rendere l’appello più percepibile (vedi il “j’accuse” di Zola). (ndr: Emile Zola fu l’unico a denunciare la persecuzione contro Dreyfus; tutti sanno come andrò a finire). Ma queste cose hanno senso solo se nessuno si era ancora accorto che qualcosa non funzionava. Se invece del problema sono coscienti tutti, l’intellettuale in quanto tale è meglio che non ingombri inutilmente (per dire cose che pensa già anche il suo portinaio) pagine di giornali e riviste che debbono essere lasciate invece libere per notizie e dibatti ben più urgenti. Rispetto ai quali deve comportarsi come dovrebbe fare in quel frangente ogni cittadino responsabile.”

Francamente non credo ci si possa esprimere meglio di Umberto Eco, né si debba aggiungere qualcosa di più. Aveva messo un punto fermo già nel 1977. Gli intellettuali italiani (e non solo) dovrebbero astenersi dall’ingombrare la scena mediatica e dell’informazione in generale.  Hanno certamente problemi enormi da affrontare e studiare. Lascino questo momento agli scienziati. Ci sarà tempo e luogo per analizzare anche l’operato degli scienziati e politici: e questo sarà proprio il compito degli intellettuali. Ma non oggi, domani!

Un saluto.

Zavoratti