Buongiorno a tutti,

questa notte arriverà la Befana e domani, forse, troveremo nella calza doni o carbone a seconda di come ci siamo comportati nel corso dell’anno. La tradizione sembra quindi dirci o, meglio, ricordarci che questa notte è una sorta di redde rationem più o meno per tutti. Nel corso dei secoli questa antica tradizione è andata via via modificandosi fino quasi ad esaurirsi nella festa che chiude il periodo natalizio e ci prepara ad un nuovo anno lavorativo. In realtà, si tratta di una festività che andrebbe, invece, rivista e rivissuta; sono convinto che se ne conoscessimo le fonti, la sua evoluzione, le influenze subite fino al suo massimo sincretismo raggiunto nel XIX secolo, allora saremo felici di poter vivere la notte del 5 e la giornata del 6 gennaio, come un momento “magico”. Certamente come un’occasione di rinnovamento.

Una breve, anzi, brevissima oltre che certamente incompleta storia di questo momento particolarissimo, credo non guasti: befana, falò, calza, carbone, doni, magi, insomma una quantità infinita di simboli che non possono essere fine a se stessi ma devono assolutamente portarsi dietro il peso di significati stratificati in centinaia e, per taluni, anche migliaia d’anni di tradizioni. Provo a sciogliere almeno alcuni di questi significati prendendo a prestito parte di testi rintracciati sul web e firmati da Nicola Cultrera e Francesco Lamendola che dimostrano di avere profonde conoscenze della materia.

“Epifania», dal greco, significa «manifestazione»; e, se nel linguaggio cristiano designa il riconoscimento e l’adorazione di Gesù Bambino da parte dei Magi, più in generale essa indica la manifestazione di ciò che è nascosto, e ciò sia in un contesto di tipo religioso, sia nella dimensione della vita profana. «La dodicesima notte» è anche il titolo di quella che, a giudizio di molti critici, è la più perfetta commedia di Shakespeare (titolo originale: «Twelfh Night»; sottotitolo: «Quel che volete», «What You Will»), il cui titolo ha fatto letteralmente impazzire generazioni di studiosi dell’opera shakespeariana: che relazione vi è tra esso e il contenuto della commedia stessa, anche considerato che questa pare sia stata rappresentata proprio il giorno dell’Epifania del 1601?

L’interpretazione più largamente accettata è che la notte dell’Epifania, cioè la dodicesima notte dopo quella del Natale, non abbia alcun significato in senso religioso; ma che l’epifania, intesa nel senso profano, alluda alla sarabanda di avvenimenti inconsueti, imprevisti e imprevedibili, che caratterizzano l‘azione scenica. Tempeste, separazioni, scambi di persona, situazioni erotiche ambigue (una ragazza che si traveste da paggio e che, in tale veste, suscita la passione irrefrenabile di una gentildonna, a sua volta amata dal padrone della ragazza), agnizioni (la ragazza e il suo fratello gemello si ritrovano, dopo essersi creduti morti l’uno per l’altra), buffonate intrise di saggezza e saggezza che degenera in follia, inganni, macchinazioni e tradimenti: tutto corre allegramente, come una perfetta macchina teatrale, verso lo scioglimento finale, dove ogni cosa torna al suo posto e si risolve nell’immancabile, ma non banale, “happy end” della riconciliazione conclusiva.

Eppure, per noi Europei del terzo millennio, nonostante la concezione laica e immanente del teatro di Shakespeare e il suo impatto sul pubblico da quattro secoli a questa parte, la notte dell’Epifania rimane essenzialmente quella cristiana, con l’immagine dei tre misteriosi personaggi venuti dal lontano Oriente per adorare il Salvatore del mondo ancora avvolto nelle fasce, e con quella particolare atmosfera di sospensione, di trepidante attesa, che sa di infanzia e che ha il profumo inconfondibile delle cose antiche, da sempre sapute ma non del tutto spiegabili razionalmente.

Noi sentiamo che in quella notte, così come nelle undici notti precedenti, si consuma un grande mistero; sentiamo che il tempo sembra fermarsi, forse anche per il fenomeno astronomico del solstizio d’inverno che, appunto poco prima del Natale, pone fine al progressivo, inesorabile accorciarsi del dì e segna l’inizio del lento, dapprima quasi impercettibile, allungarsi delle ore quotidiane di luce. Sentiamo che, in quelle dodici notti colme di stupore, qualche cosa di grandioso accade nel mondo della natura, e anche al di sopra di esso; che un evento indicibile, inesprimibile, ineffabile, aleggia su ogni cosa e pervade l’atmosfera con il suo alito impalpabile, avvolgendo noi e tutto il creato in una dimensione sacrale. Esistono delle tradizioni popolari, diffuse specialmente nell’Europa centrale, secondo le quali, nelle dodici notti sante, la natura si rivela agli uomini in una maniera assolutamente nuova e misteriosa, dopo che il ciclo vitale, a partire dalla notte di San Giovanni (24 giugno), è giunto nella sua fase cruciale, mentre l’autunno non è che la preparazione graduale a quella pienezza finale; si dice anche che gli animali, le piante e persino le pietre non rimangano estranei a questo soffio di vita segreta, il quale percorre come un fremito tutta la creazione.

Si sa inoltre che, in numerose tradizioni iniziatiche, dodici è un numero magico, che indica il ritorno al punto di partenza e il completamento di un ciclo cosmico, così come i dodici mesi dell’anno scandiscono l’orbita della Terra nello spazio intorno al Sole Le dodici notti sante fra il Natale e l’Epifania sono il momento sacro per eccellenza e un concetto simile era già presente nell’antichità pagana: basti pensare ai Saturnali, che duravano dal 17 al 23 dicembre (calendario stabilito dall’imperatore Domiziano), ma soprattutto al Dies Natalis Solis Invicti, il giorno della nascita del Sole Invitto, il cui tempio venne consacrato dall’imperatore Aureliano il 25 dicembre del 274.

E si tenga presente che la festa del dio d’origine persiana Mithra, connessa, attraverso una serie di passaggi di natura sincretista, con il culto di Dioniso, veniva celebrata in Oriente la notte del 24 dicembre, la vigilia del Natale cristiano. La fusione delle tre tradizioni- solare, mitraica e cristiana – si deve a Costantino; vale peraltro la pena di ricordare che nei Paesi cristiani ortodossi, che seguono tuttora il calendario giuliano, la nascita del Signore viene celebrata il giorno stesso dell’Epifania, per la differenza di tredici giorni che intercorre rispetto al calendario gregoriano.

Al di là del fatto che la decisione di Costantino fu dettata certamente da ragioni politiche e cioè da una voluta ambiguità fra la solennità principale del culto del Sole Invitto e quella dei seguaci di Gesù Cristo, resta il fatto che il periodo compreso fra il solstizio d’inverno e la prima settimana di gennaio (che, nell’antico calendario romano di Romolo, non era il primo mese dell’anno, poiché il primo era marzo) è stato considerato dai nostri antichi progenitori, da tempi immemorabili, un periodo sacro, legato al mistero della morte e della rinascita e, quindi, al ciclo eternamente rinnovantesi delle forze vitali in seno alla natura.

Di certo la festività dell’Epifania non si esaurisce con alcune reminiscenze di carattere storico. Anche le tradizioni hanno permesso il perpetuarsi di alcuni momenti che dovevano assumere significati affatto particolari.  L’Epifania, appunto, è forse il più importante tra questi.

Usanza antichissima e caratteristica è l’accensione del ceppo, grosso tronco che dovrà bruciare per dodici notti. E’ una tradizione risalente a forme di culto pagano di origine nordica: essa sopravvive l’antico rito del fuoco del solstizio d’inverno, con il quale si invocavano la luce e il calore del sole, e si propiziava la fertilità dei campi. E non è un caso se il carbone che rimane dopo la lenta combustione, che verrà utilizzato l’anno successivo per accendere il nuovo fuoco, è proprio tra i doni che la Befana distribuisce (trasformato chissà perché in un simbolo punitivo).

La tradizione è ancora conservata in alcune regioni d’Italia, con diverse varianti: a Genova viene acceso in alcune piazze, e l’usanza vuole che tutti vadano a prendere un tizzone di brace per il loro camino; in Puglia il ceppo viene circondato da 12 pezzi di legno diversi.
In molte famiglie, il ceppo, acceso la sera la sera della Vigilia, deve ardere per tutta la notte, e al mattino le ceneri vengono sparse sui campi per garantirsi buoni raccolti.

In epoca medioevale si dà molta importanza al periodo compreso tra il Natale e il 6 gennaio, un periodo di dodici notti dove la notte dell’Epifania è anche chiamata la “Dodicesima notte”. È un periodo molto delicato e critico per il calendario popolare, è il periodo che viene subito dopo la seminagione; è un periodo, quindi, pieno di speranze e di aspettative per il raccolto futuro, da cui dipende la sopravvivenza nel nuovo anno. In quelle dodici notti il popolo contadino credeva di vedere volare sopra i campi appena seminati Diana con un gruppo più o meno numeroso di donne, per rendere appunto fertili le campagne.

Nell’antica Roma Diana era non solo la dea della luna, ma anche la dea della fertilità e nelle credenze popolari del Medioevo Diana, nonostante la cristianizzazione, continuava ad essere venerata come tale. All’inizio Diana e queste figure femminili non avevano nulla di maligno, ma la Chiesa cristiana le condannò in quanto pagane e per rendere più credibile e più temuta questa condanna le dichiarò figlie di Satana! Diana, da buona dea della fecondità diventa così una divinità infernale, che con le sue cavalcate notturne alla testa delle anime di molte donne stimola la fantasia dei popoli contadini.

​Di qui nascono i racconti di vere e proprie streghe, dei loro voli e convegni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Nasce anche da qui la tradizione diffusa in tutta Europa che il tempo tra Natale ed Epifania sia da ritenersi propizio alle streghe. E così presso i tedeschi del nord Diana diventa Frau Holle mentre nella Germania del sud, diventa Frau Berchta. Entrambe queste “Signore” portano in sé il bene e il male: sono gentili, benevole, sono le dee della vegetazione e della fertilità, le protettrici delle filatrici, ma nello stesso tempo si dimostrano cattive e spietate contro chi fa del male o è prepotente e violento. Si spostano volando o su una scopa o su un carro, seguite dalle “signore della notte”, le maghe e le streghe e le anime dei non battezzati.

Strenia, Diana, Holle, Berchta,… da tutto questo complesso stregonesco, ecco che finalmente prende il volo sulla sua scopa una strega di buon cuore: la Befana. Valicate le Alpi, la Diana-Berchta presso gli italiani muta il suo nome e diventa la benefica Vecchia del 6 gennaio, la Befana, rappresentata come una strega a cavallo della scopa, che, volando nella dodicesima notte, lascia ai bambini dolci o carbone. Come Frau Holle e Frau Berchta, la Befana è spesso raffigurata con la rocca in mano e come loro protegge e aiuta le filatrici.

Che ne dite?  Non vale forse la pena di riesumare questo antichissimo rito?

Un saluto

Zavoratti