Buongiorno a tutti,
avrete di certo letto la stampa nelle scorse settimane ed avrete appreso una notizia alquanto strana che difficilmente può trovare una risposta esauriente. Anche chi è abituato a sfornare risposte semplici a qualunque tipo di problema e senza l’ausilio di alcun tipo di dato, si troverà a fare una certa fatica a trovare le ragioni di questo nuovo fenomeno: ogni tre mesi in Italia circa 500.000 persone danno le dimissioni volontarie dal lavoro. E lo fanno senza avere alcun’altra alternativa. Federico Fubini sul Corriere.it ha tracciato un interessante quadro dal quale prelevo alcuni dati di contraddizione:
“… L’ISTAT mostra che ad agosto scorso gli occupati erano ancora quasi mezzo milione in meno rispetto a prima della pandemia … Eppure quasi tutti i ventiquattro settori principali dell’economia italiana (meno le miniere e la finanza) comunicato all’Istat i massimi livelli di difficoltà a trovare nuovi addetti da quanto esistono statistiche in proposito. In sostanza ci sono in Italia molti meno occupati rispetto a prima di Covid, ma le Imprese fatica a riempire i posti vacanti. E’ un fenomeno particolarmente evidente nei servizi turistici, in quelli di informazione e comunicazione e nelle professioni “scientifiche e tecniche”. Fabio Pompei di DELOITTE ha detto a un recente evento della Fondazione Bellisario che trovare un manager in Italia è diventato ormai arduo. In parte pesa la carenza di competenze per svolgere le funzioni ricercate oggi dalle imprese. Alcuni italiani stanno ance rivedendo le proprie priorità, fra lavoro e vita privata. …”.
Anche Giuseppe Colombo su huffingtonpost.it analizza in fenomeno fornendo ulteriori spunti di analisi che riporto di seguito:
“Quando in tre mesi quasi 500 mila lavoratori decidono di dimettersi, come è avvenuto tra aprile e giugno, è evidente che qualcosa si sta muovendo nel mercato del lavoro. Dimettersi volontariamente significa rinunciare al posto di lavoro per qualche ragione. Ora, se questo ragionamento portasse all’assicurazione di avere non solo una nuova occupazione, ma anche retribuita meglio, il fenomeno delle transizioni potrebbe segnare l’uscita, seppure iniziale, dalla logica della necessità del posto fisso a tutti i costi. Sarebbe una buona notizia per i lavoratori, che guadagnerebbero di più, e anche per le imprese, che avrebbero meno vincoli. Ma non siamo gli Stati Uniti prima del Covid, dove il 40% delle assunzioni era costituito dai lavoratori che passavano da un’impresa a un’altra. L’americanizzazione di questo fenomeno ha senso, anche se non completamente, se si prendono in esame le cause: dal burnout (ndr: Questa sindrome deriva il proprio nome dall’espressione inglese «to burn out», ovvero «bruciarsi, esaurirsi». Il burnout è uno stato di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale. L’OMS classifica questa sindrome come una forma di stress lavorativo che non si è in grado di gestire con successo.) l’esaurimento da lavoro, alla volontà di avere un’occupazione più flessibile in termini di luogo e orari. Ma il saldo dalle dimissioni a un sistema job to job, cioè lascio un lavoro e ne prendo un altro, è tutto italiano e ancora indefinito: le rigidità del mercato del lavoro potrebbero frenare non solo l’approdo ad un nuovo lavoro, ma anche l’aumento dei salari e della produttività. …”
Forse è ancora troppo presto per fare sintesi di un fenomeno per l’Italia nuovo e trarre delle conclusioni.
Dal canto mio proverei ad aggiungere qualche altro dato da sommarsi a quanti hanno fornito la loro analisi. Le generazioni che oggi costituiscono la società, sono riuscite a dare un senso alla loro esistenza: giovinezza, studio, lavoro, famiglia, sanità, vecchiaia e morte. Ciascuna di queste fasi era costituita da schemi entrati a far parte della nostra esistenza. Oggi, ciascuna di queste fasi è stata messa in discussione dalla pandemia: la giovinezza è stata “sospesa” causa COVID; lo studio è stato messo in discussione per il medesimo motivo; il lavoro, ha perso di significato e di certo non ha aiutato a risolvere la questione; la famiglia è stata messa sotto stress, in qualche caso si è distrutta, a causa COVID; la sanità ha raggiunto livelli di overbooking ed ha sospeso la sua funzione; la vecchiaia è diventata un pericolo e la morte non ha mai fatto tanta paura come oggi: morire senza il conforto dei propri cari; senza il contatto fisico dei familiari; senza lo sguardo compassionevole di chi ti vuole bene!
Se queste analisi sono almeno plausibili se non vere, è evidente che stiamo vivendo uno sconquasso senza precedenti. E allora, che alcuni italiani stiano rivedendo le proprie priorità penso sia del tutto naturale. E probabilmente, saranno i più fortunati. Chiudo citando sempre Fubini dallo stesso articolo: “Di certo l’Italia è nel pieno di un colossale riassestamento dopo un sisma economico e sociale, non solo sanitario. Se ne uscirà dormiente come prima, o trasformata in meglio, è la grande domanda di questi mesi”.
Un saluto.
Zavoratti
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