Buongiorno a tutti,

mi sento di affrontare un tema assai delicato e nel quale mi muovo con poca dimestichezza e conoscenza; tuttavia, prima o poi, direttamente o indirettamente, accadrà che dovremo farci i conti tutti: la cancel culture.

No, non sono impazzito né sono caduto battendo la testa durante una delle mie escursioni in montagna. Si tratta di un fenomeno che abbiamo importato dagli USA e che spero (ma temo si tratti solamente di una illusione) duri poco.

Innanzitutto è opportuno partire dalla definizione di cancel culture. Prendo quella di wikipedia anche se ne esistono di altre, ma non si discostano di molto: “la locuzione cancel culture (in italiano cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio) è un termine usato per indicare una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno viene estromesso da cerchie sociali o professionali – sia online sui social media, che nel mondo reale, o in entrambi.”

Alla stregua dei NO-VAX e dei TERRAPIATTISTI, questo gruppo di pensiero ha l’obiettivo di “negare” qualcosa. A volte, negare qualcuno. Più spesso, negare qualcosa e qualcuno.   Manifestazioni di questo tipo se ne sono avute anche in Italia.  Tranquilli, non ci facciamo mancare nulla. Anche quando non ne comprendiamo appieno il significato.

Nel dibattito importato dagli Stati Uniti d’America (tutto parte da gruppi di persone che vogliono eliminare/distruggere/cancellare/negare il valore, delle statue di chi si è macchiato di schiavismo) si parla di politicamente corretto per indicare l’insieme dei dispositivi di censura e autocensura che regolano gli atti comunicativi, mentre con cancel culture si fa riferimento al sistema di sanzioni formali o informali, dall’alto e più spesso dal basso, che realizzano questa regolazione.

Temi preferiti anche se non esclusivi della cancel culture sono certamente: razzismo e sessismo.

La rappresentazione plastica della cancel culture passa attraverso l’iconoclastia. L’Italia non è indenne da simili manifestazioni. Spesso si è dibattuto se tenere in piedi o distruggere monumenti e palazzi del ventennio.  Potremmo pensare di radere al suolo l’EUR in quanto massima espressione di un imperialismo che ci ha condotti alla guerra, alla miseria e all’eliminazione degli ebrei; per chi fosse di Pordenone, potremmo pensare di radere al suolo il Palazzo del Mutilato sorto tra il 1935 ed il 1937 ad opera dell’architetto Cesare Scoccimarro, in quanto esempio del medesimo periodo; potremmo pensare di far eliminare la Regina Elisabetta in quanto espressione di un colonialismo di altri tempi; che ne pensate?

Qualcuno si è inventato di richiedere la rimozione della statua di Indro Montanelli dai suoi giardini di Milano. Montanelli uguale a fascista e presunto pedofilo a causa del matrimonio con la sposa bambina eritrea di 12 anni ai tempi della colonizzazione.

Se i comportamenti di Indro Montanelli, solo per citare l’esempio più conosciuto, siano da censurare o condannare, credo che la storia abbia già espresso tutta la sua condanna; ma persino lo stesso Montanelli ebbe più volte modo di ritornare sull’episodio e fornire le sue spiegazioni. Sul web si trovano alcuni video su questo tema: uno, particolarmente interessante, dove il nostro viene messo in un angolo da una femminista del pubblico molto preparata e competente.

Ma qualunque giudizio si voglia dare su questa persona, esso può forse passare per le maglie dell’iconoclastia? E di lui, dovremo ricordare solamente quell’episodio?  Ci dobbiamo sbarazzare di queste immagini come hanno fatto in Afghanistan 15 anni fa con la distruzione dei Buddha di Bamyan da parte dei talebani?

O forse è opportuno distruggere tutte le immagini di Napoleone, di Nerone, di Caligola, di Nelson, e di migliaia di altri personaggi? E con Jeff Bezos come la mettiamo? E’ il più grande imprenditore al Mondo e secondo taluni è anche il peggior schiavista.

Si capisce bene, approfondendo il tema, che la deriva populista e nazionalista di questo tema non è un fantasma ma una prossima realtà con la quale fare i conti.  E ci sarà certamente qualche politico “cretino” che farà propria questa cultura e ne troverà ragioni persino etiche.  Non arrivo a dire come Enrico Mentana “Bisogna avere il coraggio di dirlo: per molti aspetti la cancel culture ricorda i roghi dei libri del nazismo”, ma non credo nemmeno che si debba far finta di nulla. I portoni per una deriva nazional-populista non sono aperti ma spalancati.

Occorre trovare un antidoto.  Ma quale? Innanzitutto una lezione la possiamo imparare: quella di non dare per scontato nulla!  Le statue, siano esse realizzate in marmo o in bronzo non sono certamente mute. Parlano. A volte urlano.  Ma ciò che dicono ci serve! Ciò che dicono è estremamente comprensibile. Anche alla persona non preparata culturalmente. Quel che dicono ci serve, a volte per andare oltre. Altre, per non ripetere gli errori.

Il popolo, molto spesso, comprende molto meglio i messaggi attraverso le immagini che attraverso gli editti.  Altrimenti non verrebbero demolite!

Un saluto.

Zavoratti