Buongiorno,

io non ho scritto male il titolo e Voi non lo avete male; non vi serve un oculista.  Il titolo dell’articolo potrebbe ingannare, lo riconosco; e allora mi sembra giusto sgombrare il campo da ogni ambiguità. NOVAC, nulla a che fare con i novax (Il no ai vaccini o all’obbligo di vaccinazione riunisce tendenze diverse, dai teorici delle «congiure» di Big Pharma alla rivendicazioni di libertà costituzionali). Nulla di tutto ciò.

Chi appartiene al sempre più cospicuo gruppo dei “novac”, non raccoglie (per il momento: ma non sarà sempre così…) l’attenzione di alcuna formazione politica; e nemmeno di alcun gruppo di pensiero. Men che meno di giornalisti intellettuali o meno che siano.

Per il momento i “novac” (ai quali appartengo da tempo) sono un gruppo di persone, piuttosto numeroso che, a dispetto delle pseudo statistiche che vorrebbero 1 italiano su due in vacanza, (una bufala che aspetta di essere smentita) in vacanza, invece, non ci vanno. Certamente non ci vanno nel mese di luglio e soprattutto in quello di agosto.  Ma, ciò che li caratterizza è che hanno un rapporto con la vacanza del tutto estraneo al mood con il quale la stragrande maggioranza si appresta a viverla.  In genere, l’effetto collaterale migliore dei vacanzieri tradizionali è che della vacanza non rimane dentro assolutamente nulla. Nemmeno il tanto agognato senso di recupero delle energie fisiche e mentali che ci hanno spinto ad una forsennata organizzazione per  non perdere nemmeno un minuto delle tanto agognate vacanze.  Il giorno dopo il rientro, delle vacanze ci siamo dimenticati quasi completamente.

A questo punto mi attendo di essere insultato almeno con il termine “snob”; il più educato, tra quelli in uso.  Già sento le ire di molti che mi avvertono che mi sto sbagliando: che le ferie rimangono dentro per un bel pezzo e che comunque hanno un effetto psico-fisico benefico.   Sarà! Però mi piacerebbe che ogni giudizio venisse sospeso fino al termine della riflessione che l’occasione richiede e che vorrei sottoporre ai lettori.

Sulla necessità di una vacanza, credo ci sia poco da dire. Anzi, partirei proprio da questo: dalla “necessità”. Nella maggior parte dei casi abbiamo lavorato un anno senza sosta. E quando parlo di lavoro non mi riferisco al solo lavoro manuale o intellettuale; ma anche al lavoro di caregiver  che tutti, a vario titolo, svolgiamo una volta terminato l’orario di lavoro. E quindi, quante sono le persone che svolgono uno, due e anche tre lavori?  Non c’è dubbio, quindi, che la vacanza diventi una necessità. Ed è per soddisfare al meglio questa necessità che ci si da tanto da fare per i preparativi e l’organizzazione, in taluni casi, iniziando mesi prima della partenza. Nel caso di un amico che ha scelto una meta lontana, … oltre un anno prima.

Perché tutta questa urgenza di “programmare”? Quale paura ci assale se arriviamo impreparati alle vacanze? Cosa temiamo? Non sono un filosofo ne uno psicoanalista e tuttavia, se queste domande hanno legittimità, allora qualche risposta occorre trovarla, almeno per comprendere se, effettivamente, quando siamo in ferie e ci apprestiamo a vivere una vacanza, la viviamo davvero o stiamo solamente convincendoci di viverla mentre in realtà abbiamo solamente spostato il luogo di lavoro, dalla propria sede ad una sede diversa: mare o monti che siano?

Le “ferie” che spesso confondiamo con le “vacanze” sono un diritto e come tale non le vogliamo perdere. Anzi, l’art. 2109 c.c. al terzo comma ce lo ricorda e impone:  “L’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie.”  Che sia per questo che ci affanniamo così tanto a voler andare in vacanza? Per “goderle“?

La sensazione è un’altra: è quella di predisporci alla vacanza, esattamente come ci si predispone ad un impegno di lavoro o, comunque, a qualunque altro impegno familiare: lo stesso metodo; la stessa organizzazione; la stessa ansia.  Il tutto nella speranza che il risultato sia quello sperato: serenità e rilassatezza; benessere e piacere; in altre parole “un godimento”. E allora, notti intere a cercare sul web la soluzione migliore; ore e ore di code in auto o aeroporti; finalmente in spiaggia con meno di 1 metroquadrato di spiaggia a disposizione ed obbligato ad ascoltare musica impossibile e beghe di cui non ci importa nulla. Ma finalmente arriva l’ora del pranzo.  Alcuni vanno a fare (ancora una volta) la coda al ristorante; Altri, invece, si apprestano a mangiare quello che hanno preparato la notte precedente con ore e ore di lavoro. E così per tutto il tempo della vacanza!

In una delle mie notti insonni, mi sono imbattuto in un bellissimo documentario sulla pesca e la lavorazione dello stoccafisso nelle isole Lofoten: un arcipelago al nord della Norvegia.  Ebbene, i pochissimi abitanti dei pochissimi paesi di queste isole, vanno in vacanza a pochissime centinaia di metri (forse qualche chilometro) più a sud, in alcune case fronte mare (le ricordo tutte molto colorate: rosse, azzurre, gialle) che, a parte il colore, non avevano nulla di diverso da quelle in cui abitavano;  e però, in quelle case, vivevano la loro vacanza nel modo più rilassante: un cinema, un bar, un piccolo supermercato: gli stessi abitanti del paese di origine: qualche decina!   Non credo si tratti di un problema economico: la lavorazione dello stoccafisso è assai redditizia.

Ma per tornare alle nostre ferie/vacanze, ho più di un sospetto che il fenomeno oramai appartenga al nostro modo di vivere e, generazione dopo generazione, temo che lascerà dentro di noi una traccia persino genetica se non proveremo a riappropriarci del tempo come occasione di “ristoro” che non necessariamente deve passare attraverso i meccanismi dell’organizzazione lavorativa.  Qualcuno rammenta il film IL COSMO SUL COMO’ (anno 2008) di Aldo, Giovanni e Giacomo? Nell’episodio “Milano beach” viene ottimamente rappresentato il fenomeno di cui parlo. Le tre famiglie decidono di partire per una vacanza e la organizzano nei minimi dettagli. Sono tutti incazzati come bisce.   Come sempre, in queste circostanze, il Diavolo ci mette lo zampino e, per una serie di (s)fortunate circostanze, le tre coppie non riusciranno a partire e decideranno di fare le vacanze all’interno dello stadio milanese …. ma divertendosi un mondo: geniale!

Non ho idea se sono riuscito a suscitare l’interesse di qualcuno su un tema ferragostano che pochi, purtroppo, vivono?  Come che sia, auguro a tutti di trascorrere le migliori vacanze possibili e nel modo che più desiderano.

Un saluto.

Zavoratti