Buongiorno a tutti,

pochi giorni fa ricevo da una amica una notifica in FB; il post riguarda la morte della piccola Elena per mano della madre e, immediatamente, sente l’urgenza di scrivere una breve poesia molto toccante che posta nell’etere; con quale intento? presumo con l’idea di inviare un messaggio all’anima della bambina per accompagnarla nel nuovo viaggio e non farla sentire sola; ma riflettendoci meglio, presumo che il post su FB avesse anche un altro intento, meno palese ma certamente più significativo: quello di esorcizzare la paura. Paura di cosa? Di non saper comprendere le ragioni di un simile tragico gesto? Di non sapere giustificare “l’ombra” che ciascuno di noi si porta dentro?

Il sacrosanto diritto di esorcizzare la paura (qualunque paura), anche attraverso l’espressione della  solidarietà, rammarico, tristezza, sconforto, disperazione, angoscia, … non ci aiuterà a combatterla; e non ci aiuterà nemmeno a comprendere “chi” e “cosa” vive dentro, e con noi.

Potrebbe essere più utile provare a riflettere sulle ragioni che spingono sempre più persone a commettere: infanticidi, femminicidi, suicidi, ma anche a comprendere le ragioni di tanta ed accresciuta  aggressività, bullismo, narcisismo, che ci spingono sempre più in basso.

Siamo veramente convinti che non ci sia una via di uscita a questa degenerazione? Possiamo veramente immaginare che il declino a cui ci siamo votati, non avrà fine?

Provo (senza alcuna velleità di trovare le risposte) a partire dall’episodio della piccola Elena assassinata dalla madre, anch’essa poco più che bambina. E’ possibile giustificare il fatto accreditandolo alla “follia”? al “disagio interiore”? I più, ne saranno certamente convinti.

Ma se invece partissimo dall’idea che questa mamma/bambina non possedeva alcuno strumento per indagare i suoi sentimenti ed emozioni? Che il gesto dell’uccisione della figlia aveva lo scopo di veicolare un messaggio il cui valore era superiore al valore della vita stessa? Non serve scomodare Medea per trovare una eventuale legittimazione.

Se mai così fosse, allora è certo che qualcuno ha armato la mano di quella mamma/bambina! Chi ha messo nella mano di quella donna il coltello che si è ripetutamente conficcato nel corpo della figlia innocente?

Sento la necessità di fare una deviazione per provare a trovare il bandolo della matassa senza dimenticare che, nell’affrontare il tema il cuore sanguina ed è anche colmo di rabbia.

Qualche giorno fa è morto Mario, all’anagrafe Federico Carboni.  Suicidio medicalmente assistito: così si chiama il metodo utilizzato da Federico per porre fine alle sue sofferenze. Da dodici anni immobile a letto a seguito di una tetraplegia conseguenza di un incidente stradale. Da anni, Federico aveva espresso la volontà di morire. Non era più in grado di sopportare le sofferenze fisiche e morali che la sua condizione gli imponeva.  Ecco il testamento di Federico:

«Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l’Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio».

Sappiamo che l’Italia non dispone di una legge sul fine vita nonostante esista, invece, (paradossalmente) una legge sul “testamento biologico”.

Esiste, tuttavia, una sentenza della Corte Costituzionale (allego il comunicato stampa della Consulta, la cui lettura consiglio di vero cuore) che fornisce un indirizzo preciso. Di seguito riporto solamente l’apertura della sentenza che, da sola, mi sembra illuminante:

L’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore. E se la dichiarazione di incostituzionalità rischia di creare vuoti di disciplina che mettono in pericolo diritti fondamentali, la Corte costituzionale deve preoccuparsi di evitarli, ricavando dal sistema vigente i criteri di riempimento, in attesa dell’intervento del Parlamento.

E’ doveroso ricordare che la corte costituzionale rappresenta il massimo organo di garanzia e di controllo sul rispetto e la compatibilità con i principi contenuti nella carta non solo delle norme ma anche dei comportamenti tenuti dalle istituzioni, Parlamento compreso.

La Corte Costituzionale ha sollecitato il Parlamento a legiferare sul fine vita fin dal 2019 ma il Parlamento è rimasto sordo. Qualche rappresentante del governo ha perfino ritenuto importante esprimere il suo disappunto sull’insistenza da parte di forme organizzate dei cittadini che sollecitavano il Parlamento a seguire gli indirizzi indicati dalla Consulta: “l’Italia ha ben altri problemi che la necessità di affrontare il tema dei diritti”.

Un bel tacer non fu mai scritto!

Torno a Fabio, che ha chiesto alle istituzioni di poter essere aiutato a morire. Dalla sua richiesta sono trascorsi anni e le istituzioni sono rimaste inermi: “manca una legge” la risposta più ricorrente.

Vero! E allora se manca una legge, devo concludere che il vuoto legislativo abbia più valore delle sofferenze di Federico! La conclusione, per quanto amara, è però corretta.

Ma speculando su questo pensiero e ragionando per associazioni, allora posso anche pensare che sia la vita umana a non avere più valore. Né quella di Federico né quella di nessun altro. I casi da citare a supporto sarebbero praticamente infiniti.

Il bambino cresce forse apprendendo dall’esempio dai genitori? Ed i cittadini, non imparano forse prendendo esempio dalle istituzioni? Se non abbiamo genitori adeguati a trasmettere i valori del vivere civile, non potremo apprendere le nozioni fondamentali su cui costruire la nostra esistenza.  E quindi è comprensibile che ci siano cose più importanti della vita di Federico o di Elena o della sua mamma: lo spread, il gas, l’energia, il contratto dei dipendenti Amazon; …

Per Federico, dobbiamo ringraziare i volontari dell’associazione LUCA COSCIONI che, sostituendosi allo Stato, hanno dimostrato il profondo amore per la vita ed il suo immenso valore: proprio accettando la volontà di Federico che ha posto fine alla sua.  Sorvolo sul fatto che Federico abbia dovuto procurarsi (grazie sempre all’associazione Luca Coscioni) lo strumento per porre fine alla sua sofferenza.

Ma per Elena, chi dobbiamo ringraziare?

Un ultimo pensiero alla piccola Elena ma soprattutto alla sua mamma/bambina. Mi sono chiesto, in apertura, chi avesse armato la sua mano? Sono molti i responsabili. Soprattutto sono tutti coloro che hanno abdicato al valore della vita umana.

Per comprendere le ragioni di questa abdicazione è sufficiente guardarsi indietro di alcuni anni.  Non tanti: diciamo dalla metà degli anni 80. Sarà certamente più facile comprendere le ragioni che ci hanno condotto nel profondo di un pozzo senza fine e dal quale, (solo) apparentemente non siamo in grado di uscire.

Chi ha insegnato alla mamma/bambina a dare valore alla vita? Chi le ha insegnato che dentro una vita abita il mondo intero? Chi le ha insegnato ad intercettare le emozioni: quelle buone e quelle cattive? Qual è stato il mondo in cui questa mamma è cresciuta e ha vissuto?

Due sono le possibili vie d’uscita: possiamo continuare ad essere spettatori passivi di eventi tragici con la convinzione che a noi non potrà mai succedere (illusi) oppure possiamo provare a comprendere che cosa occorre cambiare nel nostro modo di vivere.

Ciascuno si potrà dare la risposta più consona.

Un saluto.

Zavoratti

https://www.lucioberno.it/wp-content/uploads/2022/06/Sentenza-242-2019-Corte-Costituzionale.pdf