Buongiorno a tutti,
lo spunto, per affrontare il tema degli infortuni sul lavoro, mi viene dato dall’effetto che pare abbia suscitato l’incidente sul lavoro subito da una ragazza di 22 anni di Prato. Si tratta ovviamente di una disgrazia enorme che non dovrebbe mai accadere.
Ma non dovrebbe nemmeno accadere che tale effetto venga “stimolato” dai media quando fa comodo. Non è più accettabile. Si ha l’impressione che la morte di questa ragazza sia stata un incidente del tutto “casuale” anche se poi, l’informazione segue sempre con l’indicazione del numero complessivo degli infortuni “mortali”. Ma quel numero non fa l’effetto che fa fornendo il nome e cognome della persona infortunata.
E allora mi si passi la provocazione, ma se l’indignazione dei media è vera, allora perché i TG non aprono, tutti i giorni, con il riferire il nome, cognome e l’età, dei morti che tutti i giorni accadono? Ciascuno di noi dovrebbe provare a darsi una risposta a questo quesito e farsi una idea corretta dell’uso assolutamente strumentale oltre che volgare che viene fatto della disgrazia e, in particolare, degli infortuni sul lavoro.
Si provi allora ad inquadrare il fenomeno nella sua reale dimensione. Si parta dal numero complessivo delle denunce di infortunio sul lavoro. I dati vengono pubblicati dall’INAIL mensilmente: 554.340 denunce d’infortunio sul lavoro segnalati all’Inail nel 2020; 1.270 con esito mortale, 13 incidenti plurimi per un totale di 27 decessi. Ogni giorno, pertanto, ci sono 3,5 decessi se il calcolo avviene dividendo 1270 infortuni mortali per 365 giorni. Se invece, dovessimo dividere gli stessi decessi per un numero di giornate lavorative più adeguato, ovvero 220, allora i decessi quotidiani ammontano a 5,77.
È questa la fotografia scattata il 31 dicembre 2020, l’ultima delle dodici rilevazioni mensili dei casi denunciati all’Istituto, recentemente pubblicata sul portale istituzionale. Si tratta, infatti, di un riepilogo di fine anno che confronta sia le denunce del periodo gennaio-dicembre 2020 (con aggiornamento al 31.12.2020) con quelle dello stesso periodo del 2019 (rilevate il 31.12.2019), sia quelle del singolo mese (dicembre 2020 rispetto a dicembre 2019).
Trovate in calce il bollettino INAIL. Dategli una letta. Sono solamente 9 pagine.
Ritorno alla provocazione. Dopo ogni informazione dei media sugli incidenti sul lavoro (sull’incidente “mortale” che, una tantum, viene ritenuto degno di fare notizia) seguono le immancabili interviste ad amici e parenti del/la disgraziato/a deceduto. E immancabilmente, le risposte sono sempre le stesse; provate a farci caso; sempre le stesse: non si può morire sul lavoro! Questa asserzione è assolutamente vera! NON SI PUO’ MORIRE sul lavoro, eppure si muore!
Chi pensa di andare oltre a questa affermazione? Cercare di capire come è avvenuto l’incidente; le ragioni; le circostanze; era evitabile? E poi, non c’è solamente l’infortunio mortale; ci sono una quantità enorme di infortuni non mortali che residuano invalidità permanenti anche di grado assoluto del 100%. Sono forse meno gravi quegli infortuni? Quale vita avranno quelle persone? E sappiamo come remunera questi infortuni l’INAIL? Sia quello mortale che non? E quale vita avranno quelle persone? E ancora, sappiamo quali sono i diritti degli infortunati? Dai media, nulla di tutto questo (salvo rarissime eccezioni).
Insomma, la notizia, è di gran lunga più importante degli effetti che la notizia stessa ha sulle persone oggetto della notizia medesima. E’ questo il giornalismo che vogliamo? E’ questo il modo di fare cultura sociale? Concludo la mia provocazione con qualche altro dato.
Sappiamo quanti sono i sinistri con esito mortale da incidente stradale che accadono in Italia ogni anno? Sono oltre 3.300;
Sappiamo quanti sono gli infortuni, con esito mortale, che accadono ogni anno all’interno delle mura domestiche? Sono oltre 8.000 (fonte ISTAT – rapporto annuale)
Sappiamo quanti sono gli infortuni, con esito mortale, che accadono ogni anno nel tempo libero? Sono oltre 7.000 (fonte ISTAT – rapporto annuale)
Tra tutti questi decessi, quelli avvenuti sul luogo del lavoro, sono infinitamente di meno. Tra incidenti stradali, domestici, tempo libero i decessi sono oltre 18.300 pari agli abitanti di un comune medio italiano. 50 decessi quotidiani!
Questi decessi hanno minore dignità di quelli avvenuti sul luogo di lavoro? E si può morire per incidente stradale? Per infortunio domestico? Per infortunio nel tempo libero?
Un saluto.
Zavoratti
https://www.lucioberno.it/wp-content/uploads/2021/05/alg-dati-inail-2021-gennaio-pdf-1.pdf
Un aspetto che non è di pubblico dominio (e che forse non si vuol far sapere) è scambiare gli infortuni “denunciati” con quelli poi realmente appurati essere avvenuti sul posto di lavoro o in itinere e con causa lavorativa di conseguenza “riconosciuti” effettivamente dall’INAIL.
Ora gli ultimi dati pubblicati da INAIL su questo fenomeno (relativamente al 2016 sono stati respinti 452 casi su circa 1.100 denunce) affermavano che circa che il 40% (quaranta non 4) di infortuni mortali veniva poi respinto in quanto NON avvenuto sul posto di lavoro, in orario di lavoro o con nesso di causa lavorativo.
Buongiorno Paolo,
questo è un tema che andrebbe affrontato, commentato e diffuso, così da “smontare” almeno il sentimento di rabbia diffuso e che alimenta un sempre maggiore sospetto sul mondo del lavoro. Sicuramente il fenomeno è drammatico, ma va ricondotto su binari che permettano una analisi il più possibile serena ed obiettiva: unico strumento per contribuire a ridurre il fenomeno. Grazie Paolo