Buongiorno a tutti,

qualche giorno dopo i funerali di Roberto Calasso (editore e anima di ADELPHI) mi sono imbattuto in un articolo di Andrea ZANNI (*) pubblicato dal quotidiano DOMANI, che ne onora la memoria e sfrutta l’occasione per riflettere (e farci riflettere) sul senso della lettura. Quale occasione migliore del funerale dell’editore per antonomasia, per dare un senso alla lettura? Per indagare se un senso la lettura ce l’ha, un senso diverso e più profondo del mero passatempo oppure onere imprescindibile per gli operatori culturali?

Innanzitutto occorre partire da due particolarità che riguardano Roberto Calasso: la prima è che nel giorno della sua morte venivano pubblicati due suoi libri: Bobi e Memè Scianca; la seconda è che entrambi i suoi libri, sono autobiografici. Beh, la cosa comincia a farsi interessante.

Ma ora torno al “senso della lettura” e riporto la definizione fornita da Andrea Zanni nel citato articolo: “cosa significa leggere? Fondamentalmente, cambiare sé stessi, nient’altro”.

Se la pubblicazione di due autobiografie nel giorno della morte dell’autore mi sembrava un fatto “interessante”, questa scabra, sintetica, quasi aforistica definizione del senso della lettura, mi atterrisce. Provo a spiegarne il perché.

Dobbiamo iniziare dai numeri (che, peraltro, non mentono mai); in particolare dobbiamo iniziare dai lettori in Italia: i dati Istat ci informano che il 40% degli italiani dai 6 anni in su, nel 2019, hanno letto almeno un libro nel corso dell’anno. Non indaghiamo, dentro questo 40%, quanti sono stati i libri che individualmente gli italiani hanno letto in un anno: più di uno dice l’Istat. Tanto ci basti. Ciò significa, però, che il 60% degli italiani NON ha letto nemmeno un libro! Allego l’interessantissimo studio ed analisi ISTAT sull’argomento.

Ora dobbiamo continuare con l’analfabetismo funzionale. Il nostro è il quarto Paese Ocse per la maggiore incidenza di adulti con problemi di corretta comprensione delle informazioni. Fanno peggio solo Indonesia, Turchia e Cile.  Il combinato disposto dello studio Istat e dei dati Ocse fornisce ampiamente la risposta al perché ci troviamo in una situazione disastrosa.

Ecco dipinto il quadro del sistema Paese sotto l’aspetto della cultura; della lettura; dell’analisi; della sintesi e, in altre parole, della comprensione.

Ma ora torno all’articolo di Andrea Zanni che condivido e sottoscrivo appieno e di cui consiglio la lettura.  Zanni ci fornisce altri interessantissimi spunti di riflessione sul tema e confronta la “lettura” con le arti in genere. “Ogni arte propriamente detta – letteratura, musica, pittura, scultura – ci esprime, fa uscire qualcosa da noi verso il mondo. È un pezzo che esce fuori. La lettura, al contrario, ci imprime, porta un pezzo del mondo dentro di noi. Leggere non produce. Ma ogni buon libro ci modifica un po’, ogni libro eccezionale produce grandi sconvolgimenti. Leggere, quando funziona, è una costruzione dell’identità”. (ndr: grassetto e sottolineatura sono mie).

Si sarebbe potuto essere più chiari ed incisivi? Per quanto incredibile possa essere, devo rispondere di Si!

E lo è ancora Andrea Zanni che completa il quadro con: “Un lettore (cioè uno che legge spesso, che ha bisogno di leggere) legge per vivere, perché ha imparato a filtrare il mondo anche attraverso i libri. Ogni lettore associa un libro ad un periodo della sua vita, a un luogo, e non di rado capita anche il contrario. Ogni biografia di un lettore è un serpente di libri, unico e irripetibile, come un fiocco di neve e un’impronta digitale: non esisterà mai nessuno al mondo ad aver letto i nostri stessi libri, quelli e solo quelli, in quell’ordine. Ogni lettore è la sua biblioteca”.

Ogni parola in più potrebbe offuscare, annebbiare o ridurre l’immagine esaltante del lettore fornita da Andrea Zanni.

Ora, però, non posso esimermi dal pormi una domanda. Se solamente il 40% degli italiani (quelli che hanno letto almeno 1 libro) sente il desiderio di cambiare sé stesso attraverso la lettura, significa forse che il rimanente 60% non sente la necessità di cambiare? Non ne sente l’urgenza? Per sé e per gli altri? Se l’equazione è corretta, dove affondano le radici di questa fissità mentale? Forse nel nichilismo? Se solo provassimo a sviluppare ed approfondire questi temi, ho la convinzione che si aprirebbero scenari persino inimmaginabili; una sorta di vaso di Pandora che forse non abbiamo il coraggio di scoperchiare o, meglio, la ragionevole convinzione di essere incapaci a sopportarne le conseguenze.

Azzardo una ipotesi. È forse possibile che ciò che manca a quel 60% di italiani (ma sono certamente molti di più) sia la curiosità?  E la curiosità manca per una sorta di appagamento dei sensi che ci ha avvolti tutti in una nebbia impastata (per dirla con U. Galimberti) di un po’ di benessere, di un po’ di lavoro, di un po’ di tempo libero ed un po’ di sesso.  Che altro si può volere dalla vita?  Se le cose stanno così, allora il quadro che ne emerge è proprio quello del “nichilismo” che sempre U. Galimberti ma anche E. Severino e tanti altri hanno ben tratteggiato nella loro vita professionale e che, purtroppo, pochi hanno ascoltato e quasi nessuno letto.

Non ho soluzioni da proporre; lo spirito che ha animato la realizzazione del mio blog aveva (ed ha ancora) l’obiettivo di avvicinare alla lettura, alla crescita e, in ultima analisi, al cambiamento. Ognuno attraverso i propri mezzi dovrebbe contribuire a questo cambiamento che, come ha ricordato Andrea Zanni, non produce.  È vero non produce. Ma rende liberi e migliori. Non è poco!

Un saluto.

Zavoratti

https://www.lucioberno.it/wp-content/uploads/2021/08/REPORT_LIBRI-REV_def-DATI-ISTAT.pdf

(*)    Divulgatore, giornalista culturale. Ha una laurea in matematica e un master in Digital Libraries Studies conseguito tra Oslo, Tallinn e Parma. A lungo coinvolto nei progetti wiki, è stato presidente di Wikimedia Italia. Ha scritto su Domani, ilTascabile, Esquire. Vive a Modena.