Buon pomeriggio a tutti,
La famosissima estremista di sinistra NADIA URBINATI, di cui si può leggere in calce la nota biografica tratta di WIKIPEDIA, (insegna scienze politiche nella stessa università in cui ha studiato prima, ed insegnato poi, Ruth Bader Ginsburg, prima donna a far parte della Corte Suprema degli Stati Uniti e scomparsa poco tempo fa) ha affrontato, da par suo, il tema dei rider sulle pagine di DOMANI del I maggio, il noto quotidiano in mano a fiancheggiatori dell’area estremista di sinistra.
Se qualcuno ricorda il mio articolo del primo maggio, ricorderà anche l’accenno a De Amicis e alle sue idee socialiste che venivano espresse nel libro che prendeva il nome proprio da quella data. Immagino che più di qualcuno abbia sorriso all’idea, apparentemente bizzarra, di paragonare i lavoratori deii nostri giorni a quelli di fine ottocento in Italia e immagino che sarà ancora più scandalizzato se il paragone che si azzarda oggi, è nei confronti dei lavoratori inglesi analizzati da Engels nella prima metà del XIX secolo.
Beh, allora forse sarà utile leggere proprio Nadia Urbinati che ha analizzato le sentenze di condanna delle imprese che utilizzano i rider, non per il compiacimento che in qualcuno potrebbe sorgere per la condanna in sé delle imprese, ma solamente per la capacità dei giudici prima e di Urbinati poi, di analizzare un fenomeno e le implicazioni che questo fenomeno hanno avuto, hanno ed avranno, nella nostra Società e, in ultima analisi, su ciascuno di noi. L’analisi di Urbinati ci impone di prendere consapevolezza di un cambiamento che sta avvenendo (in parte è già avvenuto) mascherato e spacciato come naturale evoluzione della scienza e della tecnologia: l’algoritmo!
Alla fine di queste riflessioni potremo allora chiederci nuovamente se, il mondo che sta avanzando, è ancora così distante da quello analizzato da Engels e De Amicis in passato e da Urbinati oggi. Non c’è dubbio che ora il salmone lo si trova anche (qualche volta) sulle tavole dei rider, ma sono passati più di 150 anni e forse è il caso di dare qualche “gratificazione” anche ai lavoratori, altrimenti si accorgeranno che le imprese (non tutte per fortuna) non hanno più nemmeno il coraggio di presentarsi con un volto ma solamente con una formula: l’algoritmo!
Ecco l’articolo di Nadia Urbinati:
Nella prefazione del 1845 a La situazione della classe operaia in Inghilterra, Friedrich Engels scriveva di aver voluto dare un quadro fedele delle condizioni di vita degli operai; aveva vissuto tra loro ed esaminato documenti ufficiali e non. Disprezzati dalla classe media per le condizioni subumane di vita, degradati a plebe di falliti «dagli affaristi e dai perbenisti», quegli operai erano una «classe oppressa e calunniata di persone». Se Engels fosse vivo oggi andrebbe tra i rider, i “ciclo fattorini”, la fotografia del capitalismo dell’algoritmo. Ci sfrecciano accanto spesso a rischio di investirci, sempre più numerosi. Liberi come l’aria, non straccioni anneriti dal carbone. Il rider è padrone del suo strumento di lavoro, come gli antichi liberi delle armi; è chiamato imprenditore. Ma a leggere le sentenze dei tribunali sulle relazioni schiaviste di lavoro, pare che quella libertà sia l’equivalente dei muri delle vecchie fabbriche. Una libertà che designa una condizione di dominazione. Di nuovo vi è la depersonalizzazione delle relazioni di lavoro. Un algoritmo decide i tempi di percorrenza, le consegne, e la penalizzazione se i rider impiegano più tempo del previsto assegnando loro fasce orarie di lavoro più svantaggiate il giorno dopo.
L’algoritmo dà un punteggio a ciascun rider in base a due parametri: “affidabilità e partecipazione”. Si legge nella sentenza del tribunale di Bologna che «ciascun rider viene periodicamente “profilato” tramite “statistiche” elaborate dalla società che valutano il tasso di rispetto delle ultime 14 giornate di sessioni di lavoro dallo stesso prenotate e non cancellate nel termine di 24 ore previsto dal regolamento».
Se il capitalismo di cui parlava Engels aveva agenti visibili, quello dell’algoritmo si nasconde dietro la finzione dell’impersonalità: con chi prendersela, con i numeri e la statistica? Ma i tribunali hanno squarciato il velo, mostrando che (udite, udite!) l’algoritmo dipende dalla volontà di profitto e sfruttamento. I parametri di misurazione del tempo o di “punizione” o il sistema di “punteggio”, tutto ripropone quel che gli operai delle fabbriche conoscevano bene: il cottimo. L’impersonalità del capitalismo dell’algoritmo è retorica. È sufficiente una contestazione dei lavoratori in tribunale a provarlo: appena conosciuta l’accusa di discriminazione e sfruttamento, i responsabili dell’azienda Deliveroo Italia hanno cambiato i parametri dell’algoritmo. La programmazione dell’algoritmo è in ragione del profitto, l’impersonalità un’utile finzione. E può (deve) essere contestata con le armi del diritto e della giustizia, costruite da generazioni di lavoratori, dai tempi dei cenciosi operai di Londra. Sono le armi della legge contro l’arbitrio che alcune democrazie hanno messo in calce alle loro costituzioni: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
NADIA URBINATI
Ha conseguito la maturità all’istituto magistrale di Rimini, per poi laurearsi in filosofia a Bologna.
Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York, è stata visiting professor presso altre istituzioni (in Italia presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Università Bocconi di Milano). Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica, ed è membro nel Comitato Scientifico dell’Associazione Reset.
Ha pubblicato saggi sul liberalismo, su John Stuart Mill, sull’individualismo, sui fondamenti della democrazia rappresentativa, su Carlo Rosselli.
Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left e dal 2020 con Domani. Negli Stati Uniti è stata condirettrice della rivista Constellations.
Dal 2016 al 2017 è stata presidente di Libertà e Giustizia; è stata vice-presidente sotto la successiva presidenza di Tomaso Montanari.
Un saluto.
Zavoratti
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