Buongiorno a tutti,

ci sono giorni in cui mi capita di sentire il bisogno di affrontare temi che non hanno a che vedere con la mia professione ma che hanno lasciato, a causa o sulla spinta di una lettura, di un pensiero, magari di un confronto con un amico, un profondo segno dentro di me; oggi è uno di quei giorni.

Sono stato molto sorpreso dalla lettera di una studentessa ventunenne inviata ad Umberto Galimberti e dalla risposta di questi, pubblicata dal supplemento D di Repubblica ; domanda e risposta che da sole forniscono un quadro (ma, direi: IL QUADRO) dell’esistenza odierna nella sua generalità e mostruosa complessità; domanda e risposta che potrebbero avere un profondo impatto su ciascuno; in particolare mi viene in mente un “amico” (penso che lo sia stato o, almeno, lo è stato certamente per un relativamente breve periodo di tempo) che dei problemi che la vita presenta quotidianamente, accetta la narrazione più semplice ed agevole proposta dalla comunicazione di massa, così da non essere impegnato ad interpretarne il significato e le sue conseguenze sulla società ma anche su ciascuno; quasi a dire che quei problemi non sono (anche) i suoi, i nostri, ma solamente di qualcuno altro. Domanda e risposta che sintetizzano, nei pochi caratteri concessi  da una sola pagina, i grandi problemi che il mondo giovanile si trova ad affrontare; ad affrontare in modo impaurito; e forse non solo il mondo giovanile.

Contestualmente, la risposta di Galimberti offre, invece, un approfondimento di analisi, una chiave di lettura ermeneutica che, da sola, potrebbe risultare una possibile via d’uscita a condizione, però, di accettare il presupposto che il problema esiste, per poi passare all’analisi e, infine, imboccare la strada più consona.

Riporto il testo della lettera e la risposta:

“Sono una studentessa di Comunicazione di 21 anni e, non me ne voglia, non sono d’accordo con il suo etichettarci “nichilisti attivi”. Penso sia troppo riduttivo rispetto al grande compito che ci grava sulle spalle. Mi spiego meglio: al giorno d’oggi noi giovani dobbiamo affrontare problemi non da poco; una globalizzazione che mina l’integrità degli stati nazione; un popolo che, disinteressato alla vita politica, vota sempre meno; un linguaggio populista che “colpisce la pancia” e che, invece di creare discussioni critiche costruttive, produce discorsi dove tesi e antitesi si confondono nella medesima cosa; una macchina del consumismo basata solo su produttività e profitto; disparità tra le classi sociali; crisi dei sistemi democratici; un progresso digitale che mette in discussione il concetto di Realtà, e un sistema scolastico sul quale è meglio non mi esprima.  Ergo mi sono posta il seguente quesito: riprendendo il Superuomo di Nietzsche, non potrebbe essere che ci troviamo nel periodo migliore della storia per risorgere? In un mondo in cui Dio è morto, i valori sono stati per la maggior parte svuotati del loro significato e il concetto di realtà ormai è liquido e fluido, non potrebbe essere questo il momento per ergerci a superuomini e ridefinire e ricreare creativamente il mondo? La ringrazio di cuore per non avermi fatta sentire unica.

Cara Alice, mi conforta che a 21 anni tu abbia una visione così lucida della realtà che voi giovani dovete affrontare. Lo spazio non ci concede di argomentare i tuoi titoli, mi limiterò a fare sottotitoli:

  1. La globalizzazione è un processo irreversibile, e chi si rifà ai nazionalismi guarda il futuro con lo specchietto retrovisore.
  2. Il popolo è disinteressato alla politica perché la politica è diventata autoreferenziale e sembra che parli solo con se stessa.
  3. L’attacco populista alla democrazia viene condotto sfruttando l’incompetenza del grande pubblico che, non sapendo governare la complessità sempre crescente delle nostre società, si affida a chi da l’impressione di poterla semplificare.
  4. Il mercato non ci vede come persone, ma come produttori e consumatori, perché se non si consuma si ferma la produzione, e se si ferma la produzione abbiamo la disoccupazione. Per uscire da questo circolo vizioso siamo costretti a un “consumo forzato”, e a realizzare quel programma nichilista che deve portare al nulla tutte le cose nel tempo più rapido possibile altrimenti si ferma la produzione, per cui la data di scadenza non l’hanno solo gli alimentari, ma anche i nostri frigoriferi, le nostre lavatrici, i nostri cellulari, i nostri computer.
  5. La democrazia è messa in crisi anche e soprattutto dall’intelligenza artificiale le cui macchine si sostituiscono all’essere umano per gestire una società composta non “da persone” responsabili delle proprie scelte e delle proprie azioni, ma da “profili” ottenuti studiando i nostri comportamenti, i nostri interessi, le nostre azioni che i big data raccolgono in gran quantità e gli algoritmi elaborano, per poterci facilmente identificare e gestire. E questo anche con la nostra collaborazione perché, pur di ottenere subito soluzioni e risposte ai nostri problemi, invece di attivare la conoscenza, assumiamo un’attitudine passiva accettando che la nostra vita sia gestita da qualcosa (l’algoritmo) di esterno a noi.
  6. Il sistema scolastico è sempre più orientato non tanto alla “formazione” quanto all’”apprendimento di competenze” (vedi scuola lavoro), per cui non dobbiamo meravigliarci di fronte alla domanda dello studente che chiede “a cosa serve” studiare greco, latino o filosofia? Non più una scuola al servizio del sapere che ha in se stesso il proprio fine come realizzazione ed emancipazione della condizione umana, ma una scuola al servizio delle richieste dell’economia, che a sua volta condiziona istituzioni e politica, la quale già da tempo, non è più, come voleva Platone, il luogo della decisione. Per quanto riguarda il Superuomo di Nietzsche, accetti il suggerimento di Gianni Vattimo che traduce Ueber-mensch non con Super-Uomo, ma con Oltre-uomo in vista, come lui scrive, di “un’umanità collocata ‘oltre’ l’uomo così com’è oggi”.

Che sia questo il compito che attende oggi voi giovani?”

Domande e risposte non facili.  Domande e risposte che richiedono riflessione ed impegno. Non so cosa ne pensate Voi; non nascondo che mi piacerebbe saperlo. Anche se a volte, però, mi assale il timore di aver fatto una scelta sbagliata: voler comprendere la vita!

Forse, la scelta giusta era un’altra; forse ha ragione quell’amico (quello di prima) che, convinto di aver “scelto” la propria via da percorrere, ha invece imboccato la strada che qualcuno ha preparato per lui (lo dico senza ironia o sarcasmo; lo dico persino con profonda amarezza perché quell’amico è assolutamente convinto di essere lui l’artefice della sua scelta).

Per concludere, vorrei provare a porre qualche quesito: se invece fossimo proprio noi, noi tutti, i responsabili di questa confusione? E se fossimo stati proprio noi a chiedere alla tecnologia di fornirci una risposta, una soluzione, ai problemi che, da soli, non riusciamo a risolvere? Allora occorre concludere che siamo stati così bravi, al punto che la tecnologia ha esaudito il nostro desiderio!

Almeno il desiderio di molti.  Anche se non il mio!

Un saluto.

Zavoratti