Buongiorno a tutti,

domenica 30 gennaio 2022. Ieri sono andato a letto alle 21.30 dopo la proclamazione del 13° capo dello Stato. Esausto da una settimana di maratone televisive che avevano, almeno nelle intenzioni, il compito di facilitare la comprensione di tutte le complesse e articolate fasi imposte da Costituzione e regolamenti ma anche quello di aiutarci a comprendere le dinamiche che muovevano partiti e kingmaker veri o presunti tali.

Immagino (ingenuamente) che l’uomo comune si aspetta, in un momento così delicato della vita politica e sociale del nostro Paese, di trovarsi nelle mani delle persone più “evolute” che la nostra società sia stata in grado di elevare a rango di rappresentanti del popolo: la massima aspirazione del nostro ordinamento, erede dell’antica “polis”.

Se non in questi momenti quando (?), la rappresentanza politica deve tradurre nella pratica l’individuazione del miglior rappresentante della “promessa” uscita dalla carta costituzionale?  Quando (?) se non l’elezione del Presidente della Repubblica?

Sciaguratamente, la nostra memoria è di breve durata.  Fra meno di una settimana, tutto sarà archiviato nel cassetto della storia repubblicana. In qualche partito o movimento ci sarà (speriamo) una resa dei conti che farà pagare a qualcuno l’insipienza di molti ma, temo, il cambiamento, almeno per ora non ci sarà.  E non ci sarà perchè, chiunque abbia un minimo di confidenza con la pratica analitica sa che i cambiamenti, quando ci sono, sono lenti, lentissimi, a volte impercettibili nel loro manifestarsi.

Fortunatamente, questa mattina, ho trovato modo di rinfrancarmi con la lettura dei quotidiani.  In particolare, sul supplemento de IL SOLE 24 ORE (ndr: DOMENICA) trova spazio in prima pagina un articolo del Cardinale Gianfranco RAVASI (*) che potrebbe essere il perfetto contrappasso della settimana che sta per concludersi. L’articolo appartiene alla rubrica “Breviario” ed ha come titolo: #FARE.  “Questa cosa che bisogna fare, sono io che la devo fare” Si tratta di una citazione del filosofo francese Vladimir Jankélévitch (Bourges 1903 – Parigi 1985). Ravasi ci ricorda che si tratta di una  “esortazione significativa che cerca di esorcizzare una tentazione che ha generato un comportamento sistematico, espresso in italiano con la pittoresca locuzione dello ‘scaricabarile’”  Poteva forse trovare paragone più azzeccato?  Nelle discussioni a tutti i livelli, tra professionisti, politici, al bar, tra amici, ci si lamenta quotidianamente contro l’inerzia della politica, la corruzione, il degrado urbano e politico. E ci si dimentica che queste lamentele servono unicamente per convincerci di possedere un alto senso morale e civico; e mentre ci convinciamo dell’impossibile, abbiamo anche sistemato la nostra coscienza che così ci evita di chiederci: “ma noi, nel nostro piccolo, cosa facciamo per cambiare qualcosa?”

Ad un certo punto dell’articolo, coup de foudre; Ravasi cita, nientemeno che Oscar Wilde che ironizzava: il dovere è quello che ci aspettiamo dagli altri”

Ma è nel finale dell’articolo che Mons. Ravasi da il meglio di sé e ci schiaffeggia tutti con la cultura, la semplicità, l’ironia, il sarcasmo, l’acume dell’uomo superiore, raccontando di aver letto affisso su un comune lombardo, un piccolo epigramma che riporto per intero:

“Storia di quattro persone di nome: Ognuno, Qualcuno, Ciascuno, Nessuno. C’era un lavoro necessario da fare. Ognuno era sicuro che Qualcuno l’avrebbe fatto. Ciascuno avrebbe potuto farlo, ma Nessuno lo fece. Finì che Ciascuno incolpò Qualcuno perché Nessuno fece ciò che Ognuno avrebbe potuto fare”. 

Grazie Mons. Ravasi dal più profondo del cuore.  Con la speranza che l’epigramma entri nella cultura di ognuno di noi.

Un saluto.

Zavoratti

(*) Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo ed ebraista. Dal 2007 è presidente del Pontificio consiglio della cultura, della Pontificia commissione di archeologia sacra e del Consiglio di coordinamento fra accademie pontificie. Da wikipedia.