Buongiorno,

domani si festeggeranno gli 80 anni (in realtà 78°) dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la fine dell’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista. Mi concedo una perifrasi: se l’Italia fosse una dittatura, in luogo della sgangherata repubblica che è, ed il 25 aprile fosse la commemorazione della caduta della democrazia e l’instaurazione del nuovo regime dittatoriale, sono certo che “il nuovo regime” imporrebbe a tutti di festeggiare in modo persino magniloquente quella data. Ahimè,  siamo solamente in democrazia e pertanto, ognuno è libero di fare quello che gli pare; compreso andare all’estero e festeggiare altre commemorazioni.

Mi concentro sul nostro 25 aprile partendo da una interessante intervista a Romano La Russa (fratello del più illustre Ignazio, Presidente del Senato della Repubblica italiana) e di cui riporto il link: https://www.youtube.com/watch?v=-bxKZ72DUXU&ab_channel=La7Attualit%C3%A0.  Vale tuttavia la pena di ricordare che, se anche meno famoso di Ignazio, Romano è pur sempre un politico di spicco di FdI (già assessore alla sicurezza della Regione Lombardia).

Ebbene, il politico La Russa, alla domanda “se avrebbe festeggiato il 25 aprile?la risposta è stata, in sintesi: “in quel 25 aprile i partigiani volevano sostituire una pessima dittatura con una dittatura ancora peggiore, quella comunista, e io con quelli non ci sfilo“.

Come ho appena affermato, viviamo in una democrazia sebbene imperfetta, ma sempre democrazia; per questo motivo chiunque, persino il signor Romano La Russa, può avere l’idea che ritiene e può persino esprimerla. Anche in questo caso, come mi è capitato per la contestazione delle affermazioni del fratello sull’attentato di Via Rasella, provo a contestare le affermazioni attraverso uno scritto di qualcuno che, quel 25 aprile, lo ha vissuto in prima persona:

“… Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E’ così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita.

Bastava aprire la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi; partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile, ebbene l’avremmo fatto.

Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. E se è sempre azzardato decidere per gli altri, temerario arrogarsi il diritto della verità, c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e per la libertà.

Vorrei che voi sfogliaste insieme a me l’album dei ricordi, con i volti dei mieti tanti compagni di grandi e piccole battaglie, fotografie scattate nei giorni della pace ritrovata, quando ci riconoscemmo simili.

Mi rivedo, ci rivedo, con i capelli ricci o lunghi, barbe più o meno incolte, vestiti a casaccio, e tuttavia qua e là spuntano una certa gonna più sbarazzina, scarpe basse ma con le calzette colorate, un fermaglio su una ciocca ribelle, la posa ricercata di un ragazzo, e tutti insieme a guardare diritto l’obiettivo, tutti insieme sapendo che il futuro ci apparteneva, tutti insieme: questa era stata la nostra forza, la nostra bellezza.”

Questa intensa pagina è stata scritta da un partigiano; anzi, una partigiana il cui nome di battaglia era Gabriella; il suo vero nome, invece, sarebbe passato alla storia della Repubblica italiana: Tina Anselmi!   E’ forse questa la pericolosissima “comunista” a cui si riferiva La Russa? Ma quali libri ha letto il signor La Russa?  Dove ha studiato (se, ha studiato)? Di quale sostituzione di dittatura va cianciando?

Vorrei concludere sottolineando un pensiero di Tina Anselmi che mi pare essere il portato di una intera generazione; quella generazione che ha vissuto una tragedia al cui termine, ha provato un senso di rinascita che, proprio quelle parole (e non solo le sue) hanno dato la forza per incominciare una nuova esistenza senza la paura di altre dittature perchè “… le macerie erano fuori, non dentro di noi.”   Penso a tutti coloro che non hanno avuto voce ma che hanno, a diverso titolo, partecipato alla lotta prima ed alla librazione poi. Ma penso anche a coloro, i più forse, che non avevano compreso cosa stava succedendo ma che in quelle parole hanno creduto e ricominciato. Sono invece le macerie che il signor La Russa porta dentro di se che non gli permettono di ricominciare a vivere dopo quel 25 aprile; di riprendere un cammino analizzando ciò che è avvenuto con gli occhi della storia. Peccato per lui.  Noi, invece, che quel lavoro di studio ed analisi lo abbiamo fatto, noi abbiamo ripreso il cammino.

Un saluto.

Zavoratti.